La retorica antifascista e la storia mentita.

La vera storia del delitto Matteotti: furono la corona inglese e Vittorio Emanuele III a volere la sua morte

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Categorie: Notizie | Stato profondo

25/06/2024

Quella feroce guerra tra logge massoniche: la massoneria italiana verso l’implosione definitiva?

Giu 23, 2024

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di Cesare Sacchetti

C’è un falso passato che non vuole passare, almeno dalle parti della sinistra progressista e anche quelle del centrodestra liberale che amano molto l’esercizio di ripetere la mistificazione della storia.

Lo si è visto recentemente con il noto programma Report che qualche ingenuo ancora scambia per “informazione libera” quando esso, specie di recente, ha assunto le forme di una fabbrica di depistaggi storici per provare a nascondere la verità sotto un tappeto di menzogne.

E’ stato questo il caso della strage di Capaci nella quale persero la vita il giudice Falcone, sua moglie, Francesca Morvillo , e gli uomini della sua scorta, quando Report in una recente puntata ha provato a far credere che il valoroso magistrato siciliano fosse sulle tracce di una pista che lo stava portando direttamente ai presunti intrighi tra mafia e DC.

Poco importa però che Falcone negli ultimi mesi della sua vita non stesse facendo nulla di tutto questo.

Poco importa che il direttore generale degli Affari Penali, chiamato dal governo Andreotti e impallinato dalla sinistra ante e post – comunista, stesse seguendo una pista molto lontana dalla Balena Bianca e invece molto vicina a quelle di Botteghe Oscure.

E’ la famosa, almeno per chi ha letto questo blog di recente, indagine di Giovanni Falcone sui fondi neri del PCI che ammontavano almeno a 985 miliardi di lire, una montagna di denaro sporco sulla quale gli “eroi” del pool di Mani Pulite non posarono mai gli occhi mentre Falcone che gli occhi ce li posò e che saltò in aria poco prima di volare a Mosca e arrivare ai nomi di coloro che beneficiavano delle tangenti del vecchio PCUS, ovvero il partito comunista dell’Unione Sovietica.

Il caso Matteotti e la propaganda antifascista

Stiamo assistendo ora ad un altro esercizio di falsificazione della storia, ma stavolta non si tratta di storia recente, ma più antica, se vogliamo, che risale almeno ai tempi del fascismo, ovvero il famigerato delitto del deputato socialista Giacomo Matteotti.

Report, ancora una volta, ha fatto la sua parte e ha veicolato il messaggio che a ordinare il delitto fu Benito Mussolini, per impedire che il deputato socialista rivelasse un affare di corruzione, del quale si dirà a breve, e dove in realtà sono coinvolti attori tut’altro che fascisti.

A seguire la stessa (falsa) narrazione sono stati nei giorni passati le citate due braccia della democrazia liberale, centrodestra e centrosinistra, che come un sol uomo hanno rovesciato la responsabilità del delitto Matteotti al fascismo e a Benito Mussolini.

Il fascismo, si sa, è una vera e propria ossessione per il liberalismo e per la putrida repubblica angloamericana partorita dall’armistizio di Cassibile e sono mesi questi ai quali si assiste sempre di più ad una trita ripetizione di quei consunti riti antifascisti nella speranza, o meglio illusione, di esorcizzare la paura di un possibile ritorno di quell’epoca, considerata la profonda e attuale crisi della liberal-democrazia.

Matteotti è sempre stato un vecchio cavallo di battaglia della sinistra antifascista e ancora una volta si è rispolverato il repertorio del duce “assassino” che ordina l’uccisione del deputato per sopprimere la sua irrefrenabile avversione al governo fascista.

Ora, per chi conosce un minimo la storia del fascismo, e per chi conosce le doti politiche e intellettuali di Mussolini, sa che non c’era nulla di più sciocco da un punto di vista politico per l’allora presidente del Consiglio che ordinare la morte di Matteotti.

Il guadagno politico era pressoché nullo perché il deputato socialista non era assolutamente in grado di fare alcunché per arrestare la crescente avanzata del fascismo né tantomeno avrebbe potuto farlo in ottica futura, perché il fascismo, come fenomeno politico e sociale, era estremamente popolare tra gli italiani ed estremamente impopolare invece tra quegli ambienti d’Oltralpe, in particolare Londra, dove esso era considerato una temibile minaccia.

E per comprendere il filo dell’assassinio di Giacomo Matteotti occorre risalire al contesto politico e geopolitico di quel tempo che fu spiegato abbastanza bene proprio da un insospettabile come Matteo Matteotti, figlio di Giacomo, ed ex deputato sia del partito socialista italiano, sia del partito socialista democratico italiano nato da una scissione dei socialisti nel dopoguerra.

Matteo Matteotti e la verità sull’omicidio di suo padre

Matteo Matteotti rilasciò una intervista allo storico Marcello Staglieno nel 1985 che fu pubblicata sulla rivista Storia Illustrata.

In questa intervista, il deputato socialista ripercorre tutti i retroscena della morte del padre e prende in considerazione una pista che poco ha a che vedere con gli interessi politici di Mussolini e molto invece con quelli della corona italiana e soprattutto della corona britannica.

Matteo Matteotti afferma che il giorno in cui suo padre Giacomo fu prelevato dal noto Amerigo Dumini, membro della Ceka –  una sorta di polizia politica fascista così chiamata per emulare la più famigerata Ceka di stampo sovietico fondata dai bolscevichi di Lenin e Trotskij – mentre il deputato passeggiava in Lungotevere Arnaldo da Brescia per recarsi alla Camera dei Deputati.

Quando Matteotti fu fatto salire a forza sulla Lancia Trikappa dei sequestratori, uno di essi, Viola, estrasse un coltello con il quale ferì all’addome e al torace l’uomo, morto in seguito alle ferite e abbandonato poi nelle campagne romane, dove venne ritrovato soltanto due mesi dopo.

La storia che i vari storici liberali raccontano è che questo delitto sia stato ordinato da Mussolini per “punire” il discorso contro il fascismo pronunciato da Matteotti alla Camera pochi giorni prima, ma questa storia, come al solito, non è molto attinente ai fatti e “sorvola” tutti quegli elementi che invece portano altrove.

Matteo Matteotti all’epoca, animato da una onestà intellettuale di cui non c’è traccia dalle parti della sinistra comunista, vuole vedere quegli elementi e scopre che il giorno nel quale suo padre fu prelevato da Dumini portava con sé dei documenti importanti che aiuterebbero a comprendere chi fu davvero il mandante di quell’assassinio.

Il figlio del deputato si sofferma a fare queste interessanti considerazioni su quella documentazione.

“Nel 1924, dopo l’uccisione di mio padre, i giornali – ma non soltanto quelli – parlarono della denuncia che avrebbe dovuto essere portata da Giacomo Matteotti davanti alla Camera, riferendosi in particolare ad un dossier, contenuto nella sua cartella il giorno del rapimento, che riguardava appunto, assieme alle bische, i petroli.”

La pista degli affari delle grandi corporation petrolifere dell’epoca, che sono ancora sostanzialmente le stesse sotto altro nome, non viene presa in considerazione dalla vulgata antifascista poiché questa ha tutto l’interesse a gettare il cadavere di Matteotti addosso a Mussolini, e mentre fa questa operazione protegge ovviamente invece i mandanti sovranazionali di quell’omicidio e le loro sponde qui in Italia.

Ciò non deve destare stupore in quanto compito precipuo degli ambienti liberali e progressisti è sempre quello di tutelare gli interessi di quei potentati esteri che da sempre hanno cercato di controllare l’Italia, Paese strategico sotto molteplici aspetti, su tutti quello geopolitico e spirituale, per via della sua inestricabile relazione con il cattolicesimo, così detestato dagli ambienti massonici e protestanti.

Matteo Matteotti quando gli viene chiesto di questi documenti prende invece in seria considerazione questa ipotesi che sembra avere più di qualche fondatezza, come confermò uno degli storici più autorevoli del fascismo, Renzo De Felice.

Non ne ho le prove materiali. Però uno storico serio come Renzo De Felice afferma che le insistenti voci di un delitto affaristico “non possono essere lasciate cadere a priori” (Mussolini il fascista – La conquista del potere 1921-1925. Einaudi 1966, p. 626 n.d.a.). Ed esistono due documenti, sempre citati da De Felice: 1) un rapporto “riservatissimo” di polizia per De Bono, nel quale si afferma che Turati sarebbe stato in possesso di copia dei documenti sulla Sinclair che aveva mio padre e dove si precisa che Filippo Filippelli del Corriere Italiano aveva contribuito all’uccisione per rendere un servizio all’onorevole Aldo Finzi e al fascismo; 2) un rapporto dell’ambasciata tedesca a Roma inviato a Berlino (10 settembre 1924) che parla di quei tali documenti pervenuti nelle mani di mio padre.”

Il personaggio citato da Matteo Matteotti, il capo della polizia, De Bono, è uno degli elementi chiave per comprendere in quali ambienti è maturato questo delitto e chi aveva davvero interesse a togliere dalla scena politica Giacomo Matteotti e su di lui si tornerà in seguito.

L’affare della Anglo-Iranian Oil

A rivelare il contenuto esplosivo di quei documenti citati dal figlio di Matteotti e da Renzo De Felice fu Giancarlo Fusco che in suo articolo per Stampa Sera scrisse che Aimone di Savoia d’Aosta, nonno del contemporaneo Aimone di cui abbiamo parlato in un altro contributo, nel 1942 rivelò che Matteotti si era recato a Londra nel 1924 per partecipare ad una riunione massonica tenutasi presso la loggia inglese “L’unicorno e il leone” del quale il deputato socialista era membro.

E’ in questa circostanza che il politico apprese che esistevano delle scritture private firmate da re Vittorio Emanuele III nelle quali il sovrano di casa Savoia si impegnava a garantire i diritti di sfruttamento dei giacimenti petroliferi italiani alla Sinclair Corporation, storica società americana del petrolio, legata a sua volta ad un’altra nota società petrolifera, allora nota come Anglo-Iranian Oil.

La Anglo-Iranian Oil è la prima società petrolifera britannica ed essa è nata con il preciso scopo di sfruttare i vasti giacimenti petroliferi iraniani che fecero la fortuna di Londra, ma soprattutto di tutto il reticolato di imprese e corporation legate al “grande” capitale della city londinese.

Quando si parla di capitale “inglese” non si può non parlare di loro, ovvero dei famigerati Rothschild che sono da sempre stati il vero referente della corona britannica tanto da prendere impegni solenni con i banchieri di origine askenazita per assicurargli la creazione dello stato ebraico in Palestina, come avvenne con la nota dichiarazione Balfour.

Negli anni a seguire dopo il caso Matteotti, la Anglo-Iranian Oil divenne la British Petroleum, una delle multinazionali leader del settore petrolifero, e se i lettori stanno pensando che questa sia nelle mani del governo britannico si sbagliano, poiché i proprietari sono ancora una volta gli onnipresenti fondi di investimento di Vanguard e BlackRock dentro i quali ci sono i capitali dei citati Rothschild, dei DuPont, dei Rockefeller, dei Warburg e dei Morgan.

Questo dà un’idea più esaustiva delle enormi proporzioni degli interessi in gioco che travalicano di gran lunga i confini italiani per approdare invece nei luoghi del potere finanziario internazionale.

Nelle scritture private citate sopra ce n’è un’altra nella quale si rivela che Vittorio Emanuele III dopo aver di sua sponte, senza aver informato Mussolini, preso accordi per lo sfruttamento di giacimenti petroliferi italiani era entrato come azionista nel capitale della Sinclair Corporation e questo faceva di lui un diretto beneficiario di quell’illecito patto con Londra e la corporation anglo-americana.

Ad avere tutto l’interesse che Matteotti sparisse dalla scena, come si vede, non era affatto Mussolini ma il re d’Italia che coltivava stretti rapporti d’affari con la corona britannica, che assieme al sovrano italiano aveva tutto l’interesse  a insabbiare un enorme scandalo internazionale che avrebbe potuto incrinare ancora di più i rapporti tra Londra e Roma, divenuta una “spina nel fianco” della Gran Bretagna dei Rothschild dopo l’ascesa del fascismo.

Si presti attenzione ora per un momento al depistaggio storico eseguito da Report.

Il programma di RaiTre occulta completamente la storia di queste carte, e prende lo scandalo della Sinclair Oil per scaricarlo addosso a Mussolini piuttosto che invece al re che aveva tramato alle spalle del presidente del Consiglio per dare agli angloamericani i diritti di sfruttamento di alcuni giacimenti in Italia, diritti poi annullati dal governo di Mussolini alla fine del 1924.

Mussolini anche in quell’occasione si dimostrò impermeabile agli interessi dei britannici mentre la corona italiana invece purtroppo era di fronte a questi permeabilissima tanto da mettere al primo posto i suoi affari davanti a quelli del Paese.

La presenza degli inglesi si vede poi anche quando questi si sono adoperati per informare i loro referenti in Italia che Matteotti aveva con sè delle carte che potevano sollevare un enorme scandalo internazionale.

Ad informare De Bono che Matteotti era in possesso di quei documenti fu infatti un agente inglese, tale Thirshwalder, che andò dall’allora capo della polizia che si attivò subito per eseguire il delitto, poiché la sua fedeltà non andava al governo fascista ma a Vittorio Emanuele III.

Una volta passate in rassegna tutte queste informazioni, Matteo Matteotti giunge quindi alla conclusione più logica.

Non fu il duce a ordinare quella operazione.

“Mussolini voleva – fin dal 1922, subito dopo la marcia su Roma – riavvicinarsi ai socialisti. Il 7 giugno 1924, quando già il delitto era in piena fase di progettazione, pronunciò un discorso che era un appello alla collaborazione rivolto proprio ai socialisti. Per questo l’attacco fattogli da mio padre pochi giorni prima fece infuriare il duce: è un fatto innegabile. Ma è altrettanto vero che quel 7 giugno Mussolini pensava – nonostante mio padre – di poter avere i socialriformisti, D’Aragona e forse Turati, al governo. Ci sono in proposito due testimonianze: quella di Giunta e quella di Carlo Silvestri. Anzi a quest’ultimo, come risultava da una sua deposizione al processo Matteotti rifatto nel 1947, fu proprio Mussolini in persona a dichiararlo, aggiungendo che Matteotti era stato vittima di loschi interessi. No, il duce non aveva alcun interesse a farlo uccidere: si sarebbe alienato per sempre la possibilità di un’alleanza con i suoi vecchi compagni., che non finì mai di rimpiangere…”

Quanto accaduto nel secolo scorso e nella storia più recente non è altro che un classico capovolgimento della storia.

Gli ambienti della sinistra antifascista nelle loro ipocrite celebrazioni hanno pensato bene di occultare tutti quei collegamenti che indicano i veri mandanti dell’omicidio Matteotti nella corona britannica, nelle corrotte compagnie del petrolio in mano ai Rothschild e quegli elementi infedeli delle istituzioni italiane, e nello stesso Vittorio Emanuele III, impegnato in questo sporco intrigo a curare i suoi affari e quelli di potenze estere.

Da un punto di vista storico, è ancora più interessante prendere in esame il ruolo giocato proprio dal re d’Italia.

Il tradimento del re nei confronti di Mussolini e dell’Italia non è iniziato il 25 luglio 1943 quando Vittorio Emanuele III ordinò illegalmente l’arresto del duce e preparò il terreno all’infame armistizio di Cassibile.

Il tradimento del re verso il suo Paese e il governo italiano iniziò già quasi 20 anni prima quando il monarca si premurava di fare i suoi loschi affari con Londra e i vari magnati del petrolio angloamericani.

Le carte citate da Matteo Matteotti e Renzo De Felice mostrano che il re d’Italia di fatto giocava il ruolo di una quinta colonna che aveva lo scopo di eseguire le volontà di Londra e non certo quelle di Roma.

Quanto accaduto con la storia del delitto Matteotti non è altro dunque che l’ennesimo capovolgimento della verità eseguito dalla storiografia liberale e progressista che non ha interesse a raccontare la vera storia, ma ha soltanto quello invece di dare fiato alle sempre più deboli trombe della retorica antifascista.

Si cerca ossessivamente di sostituire la verità con la bugia, ma l’impressione è che in questo particolare frangente storico, il liberal-progressismo non ha perso soltanto la battaglia politica dopo il fallimento del mondialismo, ma anche quella della storia.

La verità è rimasta seppellita a lungo e il venir meno del vecchio status quo non può più impedire che essa venga pienamente alla luce.

La storia, quella vera, non può più essere nascosta.

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